L’incontro con Lilli Greco – 3

Produzioni, arrangiamenti e storie dell’etichetta discografica più importante del panorama musicale italiano

“Dopo aver completato gli arrangiamenti, le registrazioni e il mixaggio del disco, con i dirigenti dell’etichetta discografica impiegavamo a volte giornate intere per stabilire con un criterio ben preciso la successione dei brani all’interno dell’album, affinché avesse una logica e una fluidità adeguate nell’ascolto, partendo dal presupposto che il disco si sarebbe ascoltato dall’inizio alla fine come si guarda un film”.

Il compact disc ha completamente stravolto il modo di ascoltare (e di conseguenza di fare) la musica, compreso suono e arrangiamenti: con la possibilità di saltare facilmente da una traccia all’altra del disco, si perde completamente la logica con la quale è stato concepito; l’etichetta discografica non ha più il ruolo che poteva avere un tempo. La musica liquida, poi, con la facilità di copia e diffusione gratuita, ha ridotto quasi a zero la vendita dei dischi (intesi come supporto fisico) e ha messo in circolo una quantità tale di musica che impedisce inevitabilmente un ascolto adeguato. Qui si aprirebbe un capitolo intero su come si sia trasformato il mondo discografico e le regole che lo governano ma preferisco tornare al racconto di quel pomeriggio.

A parte le eccessive e, talvolta (a mio parere), ingiuste critiche nei confronti di numerosissimi nomi della musica italiana, ascoltare quell’uomo era veramente avvincente. Il tempo (un paio d’ore circa, credo) volò via in un attimo.

Finalmente toccava a me. Era arrivato il mio momento. Lilli Greco mi chiese di fargli ascoltare la cassetta che avevo portato con me in cui c’erano, mi sembra di ricordare, tre miei brani. Dopo aver sentito “massacrare” nomi che io ritenevo giganti della musica, l’ansia e la certezza di essere stroncato arrivarono istantanee…
Invece non fu così. Ascoltò con attenzione i miei brani, poi, per prima cosa, mi chiese come mi fosse venuto in mente di presentarmi vestito in quel modo (“io?!” – pensai – “ha parlato Lord Brummell!”). Mi disse:

“Non ci si presenta ad un incontro di lavoro con i jeans e la felpa”.

Immaginate il mio stupore: ero vestito in modo casual, è vero, ma non avevo neanche preso in considerazione il fatto che potesse avere rilevanza nella mia valutazione. Poi continuò:

“Questa canzone è populista!! Sai che significa?” – all’epoca Salvini non c’era ancora e il termine era meno consueto – “Se non lo sai, prendi il vocabolario e leggi”.

Conoscevo chiaramente il significato del termine, ma non ritenni opportuno replicare: feci finta di credere che si trattasse di una domanda retorica che non aspettava risposta, ma la cosa mi colpì e il brano a cui lui si riferiva non l’ho mai pubblicato.

“In ogni caso, hai una bella voce e scrivi molto bene” – ringraziamo Dio! – “ma soprattutto sei molto simpatico”.

E anche qui rimasi a dir poco perplesso! Simpatico, pensai? Ammesso che sia vero, che c’entra!? Ma subito dopo aggiunse:

“Non ho detto che mi stai simpatico, bada bene!! Quando dico che sei simpatico intendo in senso artistico, nel significato greco del termine syn pathos. Hai la capacità di trasmettere la passione e con questa caratteristica ci si nasce. Non è assolutamente di tutti”.

Quanto questo fosse vero non sarei stato io a poterlo dire, ma di sicuro mi fece piacere e mi rimase impresso.

“Se fossimo stati ai tempi della RCA, di sicuro ti avrei preso sotto contratto e ti avrei fatto registrare subito una lacca. Di sicuro nel giro di poco tempo avremmo realizzato insieme un ottimo lavoro. Purtroppo, però, come ho raccontato prima, i tempi sono cambiati…” – e te pareva?! – “però, se vuoi, dalla prossima settimana vieni in studio da me dove sto lavorando con altri artisti. Te metti lì bono bono e guardi come lavoriamo. Come fanno gli apprendisti. Ti va? Poi vediamo quello che succede. Lo studio si trova in via Muggia, 33. Ci vediamo lì mercoledì prossimo”.

Non sapevo se essere contento o meno dell’esito di quell’incontro, ma di sicuro sarei andato in studio.
La ragazza che mi aveva aperto la porta era ricomparsa e aveva assistito al discorso, così le venne spontaneo dirmi, quasi per incoraggiamento, che anche lei aveva inizialmente subito la stessa sorte. Lasciando intendere che, poi, grazie alle forti critiche, era cresciuta artisticamente arrivando dove era ora.

La settimana successiva mi recai all’appuntamento presso lo studio di registrazione in via Muggia, una strada non lontana da piazzale Clodio, dove mi aspettava o, meglio, dove stava lavorando Lilli Greco. Lo studio, ricavato in un appartamento all’inizio degli anni ’70, era uno di quelli storici di Roma dove sono state realizzate tra le più importanti produzioni di musica italiana di diverso ambito: dai cantautori più celebri alle colonne sonore più prestigiose. Insomma, anche questo un vero tempio della musica.
Dal punto di vista puramente logistico, non so perché, mi sarei aspettato qualche cosa di diverso: gli elementi dell’appartamento condominiale (porta d’ingresso, tapparelle, porte) sembravano in qualche modo contrastare con l’aspetto artistico e tecnologico del luogo. Il titolare dello studio che mi aveva aperto la porta mi accompagnò nella regia dove, davanti al banco, sedevano Lilli Greco e il fonico, un personaggio anch’egli noto, nell’ambiente musicale italiano dell’epoca, oltre che per la sua competenza, per la sua veracità romana e la sua fede romanista espressa in ogni modo e ad ogni occasione. A vederlo sembrava più il magazziniere di un autoricambi che un tecnico del suono ma le apparenze ingannano ed era ormai evidente che il patinato mondo della discografia di alto livello era fatto di persone più che normali, ancorché geniali.

Frequentai lo studio per diverso tempo, semplicemente assistendo alle registrazioni e agli interventi che faceva Lilli Greco. Si trattava, di solito, di correzioni del testo oppure di revisioni della struttura della canzone o anche del modo di cantare una parola. Molto spesso, onestamente, non riuscivo subito a capire perché desse tanta importanza a taluni particolari, salvo poi afferrare il motivo subito dopo in fase di ascolto. Purtroppo, non ricordo bene per quale motivo, dovetti interrompere la frequentazione dello studio e persi di vista il maestro, ma mi accorgo ancora oggi, a distanza di anni, di quanto quegli incontri furono densi di contenuto che avrei poi metabolizzato negli anni successivi e non mi avrebbe più abbandonato. A volte, mentre scrivo o ascolto musica, mi sembra di sentire ancora i suoi interventi.

È un vero peccato non aver più conosciuto figure di quella levatura culturale, umana e artistica espresse nella semplicità più assoluta.

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