Il rito delle musicassette negli anni ‘80 – 2

La musica portatile degli anni ‘70

I dischi, alla fine degli anni ’70, si duplicavano riversandoli su nastro per tutti i motivi già descritti e molto spesso si acquistava il vinile dopo averne attentamente valutato la validità – a parte pochi fortunati, ci si poteva concedere l’acquisto del disco in occasioni ben definite (compleanno, in viaggio, Natale), quindi a volte si aspettavano mesi prima di comprare il successivo; contestualmente, si acquistava la cassetta di idonea durata (45 minuti per album normale; 60 per album più lunghi e 90 per i doppi).

Appena a casa, si scartava il disco, si ammirava la copertina e si leggevano tutti i credits.  Poi ci si predisponeva per la registrazione: si posizionava il disco sul piatto, l’etichetta colorata del vinile iniziava a girare e si cominciava ad ascoltare; nel frattempo, si scartava la cassetta, la si estraeva dalla custodia e la si posizionava nella piastra; a quel punto, si metteva in registrazione ma in pausa (tasti PLAY+REC+PAUSE) e si iniziava una attenta regolazione del livello di registrazione. Bisognava aspettare un picco di volume del disco per capire fino a quanto ci si poteva spingere. Poiché la cassetta, per avere un suono al meglio delle potenzialità, doveva essere registrata una sola volta, non erano concessi errori ed il rischio era di ottenere un livello troppo basso che non avrebbe “pompato” adeguatamente, oppure un livello troppo alto che si sarebbe inevitabilmente tramutato in distorsione.

Una volta determinato il livello di registrazione, si poggiava la puntina sul piatto e solo dopo che questa si era posizionata, si toglieva la pausa al registratore. Invertendo l’ordine, si sarebbe ineludibilmente sentito lo scrocchio della puntina che atterrava sul vinile e questo non era ammesso. A questo punto ci si sedeva al tavolo e, mentre si ascoltava il disco in religioso silenzio, si valutava come scrivere i titoli dell’album e delle canzoni sull’apposita etichetta della cassetta. Normalmente si utilizzava il pennarello nero a punta fina e, per prima cosa, si scriveva il titolo dell’album con il nome dell’autore sulla costa. Si scriveva con calma una lettera alla volta, continuando ad ascoltare il disco e facendo bene attenzione a non sbaffare con le dita le lettere appena tracciate. Talvolta si optava per una pausa tra la scritta della costa e quella dei titoli, pausa che poteva coincidere con il cambio lato del disco. Insomma un rito liturgico che permetteva però di ascoltare il disco con il tempo necessario e di scoprire tutto quello che c’era da sapere sul disco stesso (musicisti, autori, studi di registrazione, produttori).

L’etichetta, una volta finita, si lasciava convenientemente asciugare aperta sul tavolo per poi introdurla sotto la plastica trasparente della custodia, provando sempre quel brividino per l’eventuale puntino di inchiostro non bene asciugato che, passando sotto la plastica, avrebbe mandato a puttane tutto il lavoro amanuense appena completato. Ultima cosa era l’applicazione delle etichette adesive sui fianchi della cassetta. Il lavoro finito avrebbe poi trovato posto su meravigliose bacheche in legno affisse in prossimità dello stereo.

Il vinile veniva allora riposto e non si sarebbe più preso, se non in circostanze da ponderare adeguatamente. La variabile era, però, l’amico che, se onesto, te lo chiedeva in prestito, se stronzo, te lo trafugava alla prima festa. Nel momento in cui il disco partiva non si sapeva quando sarebbe tornato, perché molto probabilmente sarebbe stato ulteriormente prestato. E via così. Riaverlo, a volte, richiedeva mesi e, molto spesso, al rientro in patria il vinile riportava tutti i segni del viaggio compiuto. In compenso, però, con lo stesso sistema arrivavi ad avere dischi di ignota provenienza che potevi registrare e rimettere in circolo. Insomma, alla fine il sistema funzionava bene perché il rapporto tra dischi acquistati e ricevuti in prestito, a giro, era per tutti inspiegabilmente positivo.

Taluni fortunati possessori di nutrite teche escludevano categoricamente l’ipotesi di prestiti ma anche in quel caso c’erano margini di manovra, molto spesso condotti con sapiente inganno.

Altre volte invece capitava che curiosamente tornavano a casa solo le copertine dei dischi. Insomma, bella la musica in streaming, ma vuoi mettere la poesia?! Qualche anno fa, mi è capitato di andare a cena con i miei ex compagni di scuola e uno di questi, a distanza di ormai trent’anni, mi disse: “Oh, a proposito… me devi ridà Selling England by the Pound dei Genesis, quello era de mi zio!”…

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